basta immobilismo!
Riflessioni sulla campagna per la vita di Diana Blefari
Il tribunale di sorveglianza ha respinto il ricorso presentato dalla difesa di Diana Blefari per la revoca del regime di 41 bis. L’esito era scontato, perchà© sarebbe strano che un apparato repressivo cosଠevoluto che utilizza in maniera sistematica i più svariati strumenti di annientamento avesse dei punti deboli che agiscono in controtendenza con la logica che lo governa.
Come “Comitato contro la tortura democratica”, promotore dell’appello che denunciava la situazione di pericolo di vita di Diana, vogliamo ringraziare quanti hanno espresso la loro solidarietà , sia quando di classe sia quando mossa da un atteggiamento vigile verso le istituzioni repressive, sottoscrivendo l’appello e impegnandosi per la sua diffusione. Consideriamo chiusa questa campagna di lotta specifica, che trovava origine nella particolare situazione di quei giorni quando Diana non si alimentava da circa un mese e quindi esisteva un concreto pericolo per la sua vita. Proprio questa situazione rendeva necessario secondo noi lanciare un appello pubblico diretto a mobilitare settori più ampi di quelli di solito sensibili al principio della solidarietà di classe. Oggi la situazione di pericolodi vita non ਠpiù attuale (e non per l’intervento delle istituzioni, ma solo perchà© Diana ha deciso dicontinuare a lottare contro la
violenza che la colpisce) anche se identiche restano le condizioni “ambientali” che la avevano provocata, e questo non puಠfare certo stare tranquilli.
La sentenza riconferma la contraddizione tra i fini perseguiti in teoria dall’art. 41 bis, che punterebbe a impedire eventuali comunicazioni con l’esterno, e la reale condizione di Diana che da circa un anno si ਠchiusa in una forma di autoisolamento che elimina anche quei ridottissimi spazi di socialità che sopravvivono per chi sta in 41 bis. Quindi ਠconfermato il vero fine che viene
perseguito con l’applicazione di questo regime carcerario (come di qualunque forma di carcere di annientamento) che infatti abbiamo definito, e non per primi, come una forma di tortura. Già questo basterebbe a legittimare la continuazione della campagna di lotta, ma tale possibilità ਠimpedita da una serie di problemi.
L’iniziativa non ha centrato pienamente l’obiettivo della costruzione di un ambito di mobilitazione più ampio, anche se la prevalente provenienza regionale di buona parte delle adesioni dimostra chiaramente che dove
c’ਠstato più impegno i risultati sono venuti.
Inoltre alcune situazioni dei settori di solito più solleciti nel disporsi su posizioni di solidarietà di classe l’hanno ignorata. Forse non gradendo l’impostazione ampia che cercava di mobilitare anche ambiti non tradizionalmente legati a questo tipo di campagne (e che ha determinato le adesioni di esponenti di rifondazione comunista), o forse perchà© non erano interessati a una lotta di tipo particolare, cioਠdedicata a una singola persona. Si tratta di posizioni
rispettabili, e su queste facciamo delle precisazioni (mentre invece tralasciamo di commentare gli atteggiamenti di quelli che pur concordando sulla necessità di avviare una mobilitazione si sono resi praticamente indisponibili ad attivarsi per la sua riuscita). Sul primo punto sottolineiamo che l’incontro che si à¨
verificato con ambiti di rifondazione comunista ਠavvenuto con la loro
adesione su posizioni di denuncia (anche aspra) che di certo non sono
patrimonio di quel partito (tantomeno oggi, e da questo punto di vista
la deriva governativa sta contribuendo a spazzare via tante ambiguità ).
Questolo consideriamo positivo.
Per quanto riguarda la parzialità della campagna, c’ਠda dire che era contestualizzata in una denuncia più generale della tortura democratica,
considerando che la situazione di Diana puಠessere definita come uno dei
risultati voluti e più ben riusciti di questa forma di annientamento.
Siamo d’accordo che bisogna uscire dal particolarismo, ma prima di tutto
da quello che assume come centrale nelle proprie lotte la questione del
carcere e dellarepressione non cogliendone perಠfino in fondo la sua odierna
caratterizzazione all’interno dell’evoluzione della forma del dominio di classe. Un punto di partenza parziale puಠanche essere valido se poi l’obiettivo ਠquello di impostare una critica complessiva ai processi di controllo/repressione/annientamento che interessano tutti i proletari, dentro e fuori dal carcere. Nell’attuale fase di crisi del capitalismo proprio l’impossibilità di governare con altri strumenti le contraddizioni (e questo rende ormai
antistorica l’opzione socialdemocratica) porta per forza ad accentuare
l’utilizzo della repressione, anche con nuovi e diversificati strumenti che
producono l’introduzione in modo massiccio di forme di
desocializzazione/precarizzazione/desolidarizzazione, che rendono ormai
tutta la società come una grande prigione a cielo aperto.
L’imponente impiego di questi diversificati strumenti repressivi crea una condizione comune (naturalmente sempre meno percepita perchà© proprio
l’individualismo e la frammentazione sociale sono gli effetti che questi strumenti devono produrre) che puಠcostituire il terreno privilegiato sul quale i comunisti possono cercare di riaprire un intervento politico di carattere generale. Inutile dire che per farlo ਠnecessario finirla di dare precedenza alla coltivazione dei propri particolari orticelli.
COMITATO CONTRO LA TORTURA DEMOCRATICA E PER IL DIRITTO ALLA VITA DI DIANA BLEFARI
notorturademocratica@yahoo.it