Questo Notiziario contiene:
1. TU VO’ FA’ L’AMERICANO… OH YEAH!
Perche’ Prodi, il proconsole, scimmiotta l’imperatore
2. PACIFISTI CO-CO-CO
Perche’ gli antimperialisti non andranno il 18 novembre a Milano
3. BRASILE: LULA RIDE, GLI USA PURE
4. LA SERBIA E IL KOSOVO
MERCOLEDI 8 NOVEMBRE – ORE 17,00 in punto a ROMA (il luogo sara’ comunicato quanto prima)
CHE COS’E’ E DOVE VA LA RIVOLUZIONE VENEZUELANA?
A partire dal 1999 il governo capeggiato da Chavez ha dato vita a riforme radicali che hanno scatenato l’accanita resistenza delle forze capitaliste interessate a difendere, assieme ai tradizionali rapporti sociali, la politica di sudditanza verso gli USA. Il fronte bolivariano ਠtuttavia composito, non tutti convergono nell’obbiettivo di costruire, come indicato da Chavez, un nuovo socialismo, democratico, pluralista e di base. Quali sono le caratteristiche del “Socialismo del XXI. Secolo”? Cosa distingue questo socialismo da quelli storicamente realizzatisi e implosi su se stessi? Come il bolivarismo pensa di coniugare eguaglianza e liberta’? Quali le contraddizioni del processo di transizione? Cosa possono fare le forze antimperialiste europee per aiutare il processo rivoluzionario in Venezuela?
Ne parliamo con William Izarra*, Gianni Vattimo e Domenico Losurdo
Presiede Alessia MonteverdiPromuove l’incontro la rivista ERETICA-laboratorio per un altro comunismo
*Fondatore con Chavez, negli anni ’70, del “Movimento Bolivariano Rivoluzionario-200 “, (il movimento rivoluzionario clandestino all´interno delle Forze Armate), esponente di punta dello schieramento antimperialista che oggi guida il Venezuela, considerato il principale ideologo del nuovo corso socialista venezuelano.
1. TU VO’ FA’ L’AMERICANO… OH YEAH!
Perche’ Prodi, il proconsole, scimmiotta l’imperatore
L’altro ieri il centro-sinistra ha svolto un vertice di straordinaria importanza. Tra i proclami pronunciati uno lasciera’ un segno indelebile nella storia patria: “Dureremo cinque anni!”. Un evento tanto memorabile meritava un cerimoniale senza precedenti. Scelta per il vertice la cornice monarchica di Villa Pamphili in Roma, si e’ voluto stupirci con una conferenza stampa conclusiva in stile Basso Impero. L’effetto e’ stato ottenuto facendo parlare Prodi da un palchetto di legno rialzato che anche ai piu’ distratti osservatori ha ricordato le conferenze stampa di George W. Bush nel giardino della Casa Bianca. Nemmeno Berlusconi era giunto a livelli di scimmiottamento tanto demenziali. Vista l’incommensurabilita’ tra il Presidente del consiglio italiano e quello degli Stati Uniti, l’imitazione di Bush potrebbe sembrare solo una patetica contraffazione, una trovata di cattivo gusto. Oppure si potrebbe ritenere che la Conferenza col palchetto e’ stato solo uno stratagemma per ribadire che la leadership prodiana non e’ in discussione. Noi vi dediamo anche dell’altro. Quando la politica diventa mero spettacolo ogni segno mediatico si carica di valori simbolici, oseremo dire metapolitici. Far parlare Prodi da un catafalco non e’ un gesto estetico innocente, indica invece una scelta politica, allude ad una visione del mondo. Segnala brutalmente fino a che punto l’americanismo abbia contaminato e ammorbato la vita politica italiana e quanto, di converso, l’europeismo sia solo una maschera mitologica. Il modello americano e’ noto. Una societa’ imperiale di tipo neo-schiavista in cui un Presidente-monarca sta al di sopra del parlamento e incarna gli interessi di grandi camarille finanziarie, industriali e militari votate alla tirannia planetaria. Un sistema dispotico che obbliga le persone a scegliere tra due e solo due partiti che non sono che complementari rappresentazioni della medesima strafottente oligarchia capitalista; in cui la scelta dei parlamentari avviene su liste bloccate confezionate dalla medesima oligarchia bipartizan (primarie). Un sistema totalitario in cui il consenso e’ scientificamente telepilotato; in cui i diritti individuali sono rispettati solo a condizione che le persone si comportino da sudditi; in cui blande forme di disobbedienza civile sono tollerate solo in quanto non osano spingersi ne’ a fraternizzare col nemico ne’ ad immaginare un altro mondo. In tre parole: presidenzialismo, bipartitismo, tele-democrazia. A queso modello allude Prodi quando si presenta megalomanicamente sul palchetto a giornalisti e telespettatori, emarginando a latere, come pietose comparse, i capi e i capetti della coalizione che lo sostiene —metafore sdrucite di una democrazia che fu. Le persone di sinistra piu’ o meno serie sono costernate. Sapevano che le grandi aspettative di un cambio sociale erano delle balle, si aspettavano pero’ che almeno sul piano dello stile Prodi avrebbe segnato una discontinuita’. Macche’! Ci siamo dovuti beccare la piu’ squallida delle americanate.
2. PACIFISTI-CO-CO-CO
Perche’ gli antimperialisti non andranno il 18 novembre a Milano
Nessuno avendo il dono dell’ubiquita’, si e’ costretti a decidere, in vista del 18 novembre, se partecipare alla manifestazione di Milano o a quella di Roma. Per quanto ci riguarda non siamo affatto divorati dal dubbio. Andremo a quella di Roma indetta dal Forum Palestina poiche’ ne condividiamo spirito e contenuti antimperialisti. Specularmente non andremo a quella di Milano la quale non solo ha contenuti inaccettabili, ma risponde ad un disegno politico ignobile che va denunciato e battuto. Per quanto attiene al disegno basti ricordare chi siano i promotori –Tavola della pace & Company. Pacifisti a corrente alternata, sempre pronti a spalleggiare la politica imperialista e filoamericana se promossa dal “governo amico”. Tenaci assertori delle “Missioni” armate dell’Occidente, che Lorsignori dipingono a comando come “umanitarie” se decise dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Non-violenti-co-co-co, assunti a progetto (e lautamente prezzolati) per dissimulare dietro ad una mare di cazzate demagogiche spedizioni neocoloniali armate di tutto punto, come quelle nei Balcani ieri o in Libano oggi. Da zelanti maggiordomi di D’Alema questi pacifinti si sono inventati la manifestazione di Milano proprio per puntellare la politica estera del governo di centro-sinistra. Non dicono nulla, questi pseudopacifisti, sul fatto che l’Italia partecipa ad una sanguinosa guerra d’occupazione in Afganistan, ne’ quindi pongono come dirimente il ritiro delle truppe italiane. Dicono invece di sostenere apertamente la missione militare italo-francese in Libano, che per Lorsignori sarebbe un’encomiabile primo passo per la pace in Medio Oriente. Dicono che la pelosa risoluzione 1701 avrebbe posto fine ad un esecrabile conflitto, che va quindi sostenuta con la massima forza (anche armata). Condannano a mezza bocca l’aggressione sionista del Libano, ma urlano a squarciagola che il terrorismo deve essere battuto —ove per “terrorismo” non intendono la politica imperialista di saccheggio e devastazione, ma le Resistenze popolari come qulla palestinese di hamas o libanese di Hezbollah. Non una manifestazione di protesta dunque, ma una parata filogovernativa alla quale (come gia’ accadde alla Perugia-Assisi) il Massimo bombardatore di Belgrado D’Alema, potrebbe partecipare per farsi bello.
3. BRASILE: LULA RIDE, GLI USA PURE
Luiz Ignacio Lula da Silva (candidato del partito dei lavoratori-PT) ha stravinto le elezioni presidenziali brasiliane. Ci e’ riuscito nonostante il dissenso della sinistra antimperialista e radicale, grazie al determinante appoggio di potenti organizzazioni popolari come la CUT (centrale sindacale unitaria) e del MST (Movimento dei contadini senza terra). Un appoggio che non era stato invece unanimemente offerto al primo turno. Per ottenerlo Lula ha dovuto fare grandi promesse sociali, quelle promesse che fece quando venne eletto la prima volta e che il suo governo ha grandemente disatteso per aver invece seguito una politica smaccatamente neoliberista sul piano interno, e sostanzialmente filo-imperialista su quello della politica estera. Sembrerebbe che la storia si ripeta sempre uguale a se stessa, che alla fine ogni spinta al radicale cambiamento sociale (che in parte Lula ha intercettato) sia destinata ad infrangersi contro le compatibilita’ del sistema capitalistico. Un barlume di speranza e’ venuto tuttavia al primo turno. La candidata della sinistra radicale e antimperialista, la candidata che si dichiara “trotskysta e cristiana” Heloisa Helena ha ricevuto un bellissimo 6,8 per cento dei voti, ad indicare che non tutta la sinistra brasiliana abbia perso la speranza di cambiare il mondo. Ma la strada e’ in salita, il subbuglio in atto in America latina e’ solo un buon viatico. L’amministrazione nordamericana ha infatti alzato la guardia. Minaccia il Venezuela e la Bolivia che si sono incamminate sulla strada di riforme sociali anticapitaliste e antimperialiste, e non a caso, malgrado tutto, sostiene Lula. Il Corriere della Sera di oggi, non per caso, da la parola ad una testa d’uovo statunitense, Benjamin Barber il quale dichiara senza peli sulla lingua: ” Lula e’ un politico nuovo, che riesce a mantenere un equilibrio tra le riforme sociali ed economiche interne e gli interessi industriali e finanziari, anche statunitensi. E che non aggredisce gli USA come fa Chavez, e collabora con essi. Il modello brasiliano e’ valido per tutta l’America Latina”. Che Lula disattendera’ per la seconda le aspettative dei piu’ poveri, dei contadini, dei lavoratori, e delle comunita’ indie, noi non abbiamo dubbi. Speriamo che cio’ non uccida per qualche decennio l’anelito al cambiamento.
4. LA SERBIA E IL KOSOVO
A schiacciante maggioranza, sfidando l’aperta ostilita’ delle forze politiche filo-occidentali, il popolo serbo ha espresso, attraverso un referendum, la sua convinzione che le province di Kosovo e Metohja siano e debbano restare parte integrante della Repubblica serba. Uno schiaffo alla politica euro-americana, che dopo aver fatto del Kosovo una propria enclave etnicamente ripulita dalle minoranze (non solo quella serba, ma rom, egiziana e altre ancora) punta a staccarlo per sempre dalla Serbia. Questo e’ il risultato dei famigerati Accordi di Kumanovo che posero fine all’aggressione della Iugoslavia, accordi ingannevoli poiche’ la NATO ottenne il consenso di Belgrado appunto assicurando che le proprie truppe avrebbero non solo difeso la multinazionalita’ del Kosovo, ma che non sarebbe mai tollerata alcuna secessione. Cio’ che e’ accaduto e’ palese: il protettorato NATO (quindi anche italiano) sul Kosovo ha permesso non solo che questo paese cadesse nella mani di una milionaria mafia narcotrafficamte (non solo UCK); ha consentito il dispiegarsi di un genocidio antiserbo a dosi omeopatiche allo scopo di fare del Kosovo, manu militari, una zona etnicamente ripulita. Il nazionalismo kosovaro, per quanto legittimo sul piano dei principi, non e’ stato altro che il piede di porco con cui l’imperialismo euroamericano ha messo sotto tutela i Balcani. Per questo non lo sostenemmo ne’ lo sosteniamo oggi a giochi quasi fatti. In linea di principio ogni popolo ha il diritto all’autodeterminazione. Ma il singolo diritto all’autodeterminazione, come ogni altro diritto democratico, non solo va subordinato ad un insieme di principi, va calato nel contesto concreto della situazione. Esso puo’ ad esempio essere usato proprio dalle potenze imperialistiche per indebolire una nazione considerata ostile, per spezzare la sua resistenza, per porla sotto il suo tallone (ieri la Iugoslavia oggi la Serbia). In Iraq, ad esempio, l’invasione e’ stata motivata col pretesto di liberare gli sciiti oppressi. L’appoggio al nazionalismo kosovaro, da questo punto di vista, e’ da manuale della geopolitica necoloniale. In linea di principio: non e’ ammissibile sostenere il diritto particolare di un popolo quando la sua realizzazione implica la lesione dei diritti di altri. In linea di fatto: non si poteva e non si puo’ stare dalla parte dei nazionalisti kosovari dal momento che questo significherebbe sostenere al contempo i disegni imperialistici di balcanizzazione e quindi l’occupazione militare della NATO la quale, se va incontro alle aspirazioni nazionali di un piccolo popolo, offende e calpesta quelle di molti altri.