Il governo Prodi-D’alema ha tirato la corda e la corda si e’ spezzata.
Non era prescrittivo che il governo andasse a cercare al Senato, dove la sua maggioranza e’ aleatoria, un mandato pieno alla sua politica estera. Se l’ha fatto e’ perche’ nei prossimi mesi l’Italia sara’ tenuta a compiere passi e gesti di grandissima rilevanza politica internazionale.
Deve tenere fede al suo vassallaggio verso gli Stati Uniti dando via libera alla costruzione di una super base americana a Vicenza (nel quadro del dispositivo strategico offensivo puntato contro il Medio Oriente). L’Italia guida la missione militare in Libano mentre questo paese galleggia sull’abisso e Israele si prepara a scatenare una nuova offensiva contro Hezbollah. E’ tra gli sponsor dell’invasione etiopica della Somalia, invasione che traballa sotto i colpi della guerriglia nazionale e islamica. Tiene migliaia di soldati in Afganistan mentre Bush ha annunciato una controffensiva su larga scala contro la Resistenza, non solo talebana. Deve infine, dopo avere accettato le sanzioni contro Tehran, di allinearsi alle pressioni belliciste americane contro l’Iran.
E’ questo contesto che spiega come mai il governo abbia deciso di giocare il tutto per tutto, chiedendo ai partiti che lo appoggiano di firmare una cambiale in bianco, onde evitare di dovere rimettersi volta per volta all’esame del Parlamento.
Il risultato e’ sotto gli occhi di tutti. Malgrado l’appoggio dei cosidddetti partiti pacifisti, nonostante il pesante ultimatum lanciato pochi giorni primi ai “dissidenti” (o date l’assenso o cade il governo), due senatori della sua ala sinistra non hanno voluto piegarsi al ricatto, tenendo fede, prima che alle segreterie dei loro partiti, al mandato dei propri elettori e alle speranze dei tanti manifestanti che a Vicenza, pochi giorni fa, hanno espresso la loro radicale opposizione non solo alla nuova Base a Dal Molin, ma alla politica estera filoamericana dell’Italia.
Col suo stile paludato D’Alema ha tentato infatti di dare una botta al cerchio e una alla botte, svolgendo, nel piu’ classico stile democristiano, una serie di declamazioni a favore della pace e del multilateralismo, mentre nella sostanza ha confermato sia la sudditanza strategica verso gli Stati Uniti sia la necessita’ dell’Italia di giocare il suo ruolo di potenza subimperialista, gareggiando con i compari NATO nel contenimento delle Resistenze popolari, e perorando il discorso bushiano che l’Occidente e’ in dovere di esportare la democrazia anche a suon di bombe. Ne aveva il titolo, lui che come Primo ministro, si gettಠnella guerra alla Iugoslavia senza neppure un mandato ONU, ne’ del Parlamento italiano.
Il suo biforcuto discorso non e’ pero’ servito ad ottenere il voto favorevole di vecchi notabili democristiani come Andreotti e Cossiga, i quali hanno ritenuto insufficienti le pur sperticate dichiarazioni filoatlantiste di D’Alema.
Esprimendo la nostra solidarieta’ ai senatori Turigliatto e Rossi che hanno avuto il coraggio di dire No, siamo altresଠindignati per le volgari ingiurie loro rivolte proprio dalle file del PRC e del PdCI. Non versiamo una lacrima per le dimissioni di Prodi e la conseguente caduta del governo di centro-sinistra. Sordo alle speranze e alle aspettative di gran parte del suo stesso elettorato, esso ha caparbiamente voluto tenere fede ad una realpolitik imperialista che, tranne per lo stile meno rozzo, e’ stata in perfetta continuita’ con quella dei governi precedenti.
Per quanto non sia facile superare in peggio l’operato del governo Prodi, e’ possibile, anzi certo, che quello che verra’ sara’ piu’ infame di quello precedente, ancor più deferente verso i diktat americani. Se malgrado questo i partiti della sinistra cosiddetta radicale decideranno di farne parte vuol dire che da soli avranno voluto scavarsi la fossa. Non saranno seguiti, questa volta, da tutti quei cittadini che sono stanchi della sudditanza verso gli USA e la NATO, di essere presi in giro da politicanti che in nome della pace perseguono una politica di guerra.
Ci auguriamo che questa ennesima lezione serva ai tanti che si sono mobilitati per una politica di pace a comprendere che se davvero vogliamo fermare la guerra, noi soli non bastiamo, che occorre aiutare a vincere le Resistenze in Iraq, Palestina, Libano, Afganistan, Somalia e in ogni paese I cui popoli abbiano deciso di liberarsi dal giogo dell’Impero.
Campo Antimperialista
22 febbraio 2007